Presentandosi sulla scena capitolina con l’eleganza di una cucina dal tratto lineare ben concentrata sul gusto, il ristorante Almatò a Roma è l’interessante progetto ristorativo di tre ragazzi, tre amici, accumunati da due grandi passioni, la buona tavola e la palla ovale.
A due passi da piazzale Clodio, in via Augusto Riboty 20C in zona Prati, Alberto Martelli, Manfredi Custureri e Tommaso Venuti, rispettivamente responsabile di sala e sommelier, restaurant manager e chef del locale, nonché primo centro, seconda linea e pilone in campo, hanno dato vita ad Almatò (la cui insegna è la sintesi dei nomi dei giovani soci), un locale elegante, ma non ingessato, dall’identità ben delineata che rispecchia le anime dei tre che hanno gusti e preferenze abbastanza simili.



Ognuno, come sul campo da rugby, ha capito che portare da Almatò il proprio contributo secondo la propria competenza voleva dire fare meta. A passarsi la palla , Alberto nato e cresciuto nel ristorante che la famiglia gestisce da ben quattro generazioni, Manfredi Custureri con il suo naturale talento per il management, e Tommaso con il suo amore per i fornelli fin da bambino, il suo diploma all’Alma (Scuola Internazionale di Cucina Italiana), e le sue importanti esperienze nel mondo della ristorazione con chef del calibro di Heinz Beck a La Pergola (Roma), con Antonino Cannavacciuolo presso Villa Crespi Relais & Châteaux (Orta San Giulio – NO), e Marcus Wareing, nel ristorante Marcus a Londra.
In un ambiente confortevole ed elegante coerente con la tavola, troviamo in ogni piatto di Tommaso Venuti un numero limitato di ingredienti sempre riconoscibili singolarmente, pur con la loro complessità di preparazione, in un gioco di consistenze e accostamenti tra sapori differenti.
Il concept del ristorante Almatò ruota tutto intorno alla cucina dello chef, al suo tratto lineare contraddistinto da una costante ricerca della pulizia e della precisione che ritroviamo anche nel progetto di questo locale, ideato dallo stesso chef grazie ai suoi precedenti studi di architettura. Un luogo intimo, raccolto, elegante ma informale, contraddistinto dai colori del legno chiaro,come nel tecnologico soffitto fonoassorbente, dal grigio di alcuni elementi di cemento a parete, dal ferro nero delle lampade fatte su misura da un piccolo artigiano che permettono di evidenziare ciò che è sui 28 coperti e di spostare i tavoli a secondo la funzionalità richiesta, dal blu pavone delle sedie in ottone e del colore di alcune pareti (un’altra dozzina di posti è disponibile nel dehors a partire dalla bella stagione).
Con gli imprescindibili concetti di stagionalità e qualità della materia prima, lo chef del ristorante Almatò si affida a diversi fornitori fidati: il pescato, freschissimo, proviene da una pescheria che ha le sue barche di proprietà ad Anzio e Ponza; il pane è quello del forno Panis in attesa di poterlo fare in casa, mentre altri prodotti vengono presi da distributori che svolgono un lavoro meticoloso, come Orme e High Quality Food. Venuti realizza con questi prodotti il menu per Almatò, con pietanze leggibili e fruibili da tutti con cinque proposte per ogni portata che spaziano dalla terra al mare partendo da una base di tradizione ed evolvendosi secondo il suo lavoro di ricerca, ma mirando sempre alla soddisfazione del cliente.
Piatti come Scampi, radicchio e radici, o Foies gras, arancia e rosmarino, o Tartare di manzo, sfoglia, puntarelle e alici sono solo tre delle interessanti proposte per iniziare a conoscere le proposte eleganti e leggere di questo giovane chef che ci tenta anche con primi interessanti come i Ravioli di coda, erbe amare, salsa mirepoix, i Fagotti di baccalà, fagioli neri, guanciale, castagne e gli Spaghetti di wakame, codium, tartufo nero, tanto per citarne alcuni. I secondi vedono in carta, tra le varie proposte, l’Anatra servita con patata viola, cipollotto e lavanda, la Spigola con biete, alloro e liquirizia, il Morone (un persico spigola) con topinambur, nocciole e rum, o il filetto alla Wellington 2019. Infine i dolci, sempre realizzati da Venuti, con creazioni dalle forme e dal gusto contemporanei (più leggeri) come il suo Soufflè o il suo Tiramisù.
Il menu offre anche la possibilità di optare anche per uno dei percorsi di degustazione, di 5 o 7 portate (rispettivamente a 50 e 70 euro bevande escluse), mentre per il pranzo, dal lunedì al venerdì, si può scegliere, oltre che alla carta, la formula del lunch tasting, composta da 3 portate (al costo di 30 euro), e quella del fast lunch, pensata per una pausa dal lavoro rapida che garantisce all’ospite un benvenuto dello chef, un piatto a sua scelta e una bottiglia d’acqua in soli 30 minuti (a 20 euro). Il servizio è al passo con la filosofia di Almatò, attento alle esigenze del cliente ma mai ingessato, creando un’atmosfera dove chiunque è a proprio agio, raffinata e amichevole.
Molto interessante la carta dei vini del ristorante Almatò, curata personalmente da Alberto Martelli: circa 80 etichette equamente suddivise tra bianchi e rossi, un buon mix tra cantine blasonate e produttori meno noti provenienti dai territori più interessanti del Paese e comprensiva di diverse referenze estere, Francia in primis. Non manca una buona selezione di bollicine italiane e di Champagne, e una varia proposta al calice adatta ad accompagnare i piatti dello chef.
Qualche info:
Almatò
Via Augusto Riboty, 20C
Roma (quartiere Prati)
Tel. 0669401146
Aperto dal lunedì al sabato, dalle ore 13.00 alle 15.00 e dalle 20.00 alle 23.30